È la prima volta che scrivo un articolo “a sei mani”: difatti questo articolo è scritto in collaborazione con la Dott.ssa Alessandra Bussi Moratti, Psicologa e Consulente d’Impresa e il Prof. Pasquale Dui, Professore Universitario in Diritto del Lavoro e Avvocato.
Ho sempre ritenuto che l’incontro di più competenze sia fondamentale per trovare le soluzioni più idonee, in presenza soprattutto di un patrimonio rilevante e complesso perché in presenza di più asset, quali ad esempio quello finanziario, immobiliare, aziendale, opere d’arte o auto storiche.
Per l’asset finanziario la possibilità di pianificare per tempo il passaggio del proprio patrimonio è un’opportunità, in quanto permette di studiare soluzioni adeguate al fine di soddisfare i desiderata del dante causa, ottimizzando anche gli aspetti fiscali.
Un approccio olistico del patrimonio consente di mettere in atto una giusta diversificazione, che in particolare nei momenti complessi, come l’attuale, garantisce una volatilità contenuta.
Il rapporto di fiducia che si crea fra cliente imprenditore e consulente, in virtù delle affinità presenti per valori condivisi, permette di “cavalcare le onde”, certi di nuovi orizzonti.
Talvolta l’emotività negli investimenti, in contesti soprattutto turbolenti, può portare a mettere in atto azioni che compromettono il risultato, motivo per cui l’avere condiviso prima la pianificazione fatta e successivamente condividere l’andamento in virtù del trend dei mercati finanziari, risulta essere fondamentale.
Difficile conoscere il top (il momento per vendere) e il down (il momento per acquistare) dei mercati finanziari, ma in relazione agli eventi geopolitici ed economici, è possibile comprendere il trend dei mercati, ed infine, attraverso una gestione attiva, intervenire sul portafoglio.
Quando all’interno del patrimonio vi è anche la proprietà di un’azienda, pianificare per tempo è un must, perché solamente pianificando è possibile garantire longevità alla stessa. Infatti, la causa della diffusa mortalità aziendale talvolta è dovuta al procrastinare un evento ineludibile, come quello del passaggio generazionale.
Di continuità generazionale d’impresa si parla da sempre. Delle sue dinamiche psicologiche invece da meno tempo. Questo perché è di recente realizzazione la sinergia tra le scienze economiche e le discipline psicologiche; cooperazione che ha portato a considerare l’impresa di famiglia una realtà umana prima che economica.
Una realtà che nello specifico è piuttosto articolata per le sue peculiari dinamiche psico-emotive in gioco, le quali interferiscono e di frequente influenzano i legami interpersonali e comportamentali delle persone che la compongono.
Possiamo quindi comprendere come in un contesto di Family Business, il passaggio generazionale sia un processo estremamente delicato e complesso, ma assolutamente necessario per la vita di una azienda.
Durante il passaggio generazionale il sistema valoriale ed emotivo-relazionale tipico di quell’Azienda-Famiglia, è possibile che riceva dei colpi e contraccolpi che destabilizzeranno l’equilibrio sia familiare che aziendale di per sè già delicato e fluido, provocando negli attori coinvolti una forte tensione conflittuale.
La sensazione di sentirsi sopraffatti, come se si stesse perdendo controllo o se ne avvertisse un bisogno maggiore, dovrà essere affrontata sia dal Senior che dal Junior con una fortificazione della propria consapevolezza emotiva per poter gestire positivamente le proprie paure e/o timori.
Nel Fondatore troveremo la paura comprensibile di lasciare una vita di lavoro nelle mani di un successore che a sua volta proverà invece il timore di non essere ancora pronto a ricevere il timone per condurre l’azienda.
A volte purtroppo durante il passaggio generazionale capita che al Senior non sia possibile scegliere a “chi” lasciare le redini del comando per l’incapacità di non saper tenere separati gli aspetti personali da quelli aziendali, creando così conflitti e incomprensioni alimentati da stereotipi che nascono da lontano.
Il rapporto di tipo generativo che l’imprenditore ha con la propria azienda è senz’altro una determinante psicologica rilevante nel percorso del ricambio generazionale.
La considera una sua creatura con la quale ha sviluppato un rapporto simbiotico, dove i confini tra lui e l’azienda tendono a confondersi tanto da sentirsi un’unica cosa.
La forza di tale rapporto gli farà credere che nessuno sia in grado di reggere il timone come sa fare lui.
Alla base di tale pensiero c’è sicuramente la paura che le cose non funzionino se non si fa come si è sempre fatto. Timore che troviamo anche nel successore quando il modello familiare di riferimento è quello iperprotettivo.
Diventa perciò di estrema importanza ai fini di una buona riuscita del passaggio generazionale, che il figlio/a impari a camminare con le proprie gambe, avendo il coraggio di distaccarsi con ferma dolcezza dal pensiero del genitore.
Di altrettanta importanza è che il genitore non trattenga il figlio ma lo lasci libero di andare a sperimentare nuove vie e se necessario anche di sbagliare.
In tal modo le possibili discussioni che possono nascere tra genitore e figli durante un percorso di confronto generazionale saranno affrontate con adeguate dinamiche comportamentali da entrambe le parti.
Spesso tali contrasti sono legati alle differenti considerazioni di natura tecnico-gestionali, oltre che dal diverso valore dato al cambiamento e alla continuità della propria azienda.
Per cui, al di là delle diversità di idee e modalità di come si conduce un’azienda, serviranno da entrambe le parti qualità comportamentali, quali il coraggio e la stima reciproca, per non mandare in fumo l’esperienza del passato e mettere in campo le competenze del presente e del futuro.
Infine vogliamo ricordare che durante il passaggio generazionale molto spesso vengono presi in considerazione solo i valori patrimoniali nell’erroneo pensiero che sia solo l’equità patrimoniale il valore da perseguire.
Desideriamo perciò evidenziare che i valori da proteggere oltre a quelli patrimoniali, sono soprattutto quelli emotivi, legati alle caratteristiche dei singoli attori coinvolti nel passaggio, alla loro storia e al loro vissuto interiore.
Pensare solo agli aspetti tecnici o giuridici, senza accompagnare il passaggio generazionale con un’adeguata attenzione alla componente emotiva, porta con sé il rischio di far prevalere sentimenti irrazionali, che possono provocare conflitti e ansie talvolta incontrollabili negli attori coinvolti a discapito di una buona continuità generazionale.
La successione dell’impresa è sicuramente un ambito nel quale trova la sua ragione d’essere l’istituto del Trust.
L’imprenditore che si accinge a pianificare un passaggio generazionale, deve muoversi con delicatezza e con rigore giuridico ed organizzativo nel costruire un punto di equilibrio tra gli interessi dell’azienda e gli interessi familiari, attesi i notevoli – qui già descritti – profili psicologici implicati in un passaggio generazionale che, ove non tenuti in debito conto e gestiti con oculatezza, potrebbero mettere a repentaglio tutta l’operazione.
Il Trust, sotto questo profilo ha un fattore di elasticità molto accentuato, tale da renderlo utilizzabile in tutti i contesti, adattandolo alle specificità del caso concreto, così da renderlo alternativo al Patto di Famiglia o ad altre soluzioni, come la divisione delle partecipazioni azionarie e di quote ed usufrutto delle stesse, la creazione di una società Holding, la quotazione sui mercati e via dicendo.
Nell’ipotesi paradigmatica il meccanismo da adottare è molto lineare. L’imprenditore (disponente) trasferisce nel Trust la proprietà dell’azienda e attribuisce ad un soggetto esterno di fiducia la qualifica di manager in qualità di trustee, il quale provvederà alla amministrazione dell’azienda.
Gli utili di questa gestione esterna saranno destinati al nucleo familiare, fino alla cessazione della durata del Trust con il conseguente trasferimento della proprietà ai discendenti figli, che si definiscono come beneficiari.
Proseguendo nell’indagine delle opportunità di queste operazioni che si verificano intorno alla costituzione e gestione di un Trust, si pensi al caso di un figlio in età giovanile, non ancora del tutto idoneo professionalmente ad assumere incarichi di rilievo nella società, a causa di inesperienza. L’azienda, in questo caso sarà gestita e diretta da un manager senior, attraverso lo strumento del trust, fino alla completa maturazione professionale del figlio, destinato ad assumerne il controllo. Il manager opererà sempre nell’interesse dei beneficiari, fino all’ingresso degli eredi a titolo pieno nella compagine manageriale.
È proprio nella nomina dei manager e dei beneficiari che la grande flessibilità del trust si dimostra rilevante. L’imprenditore, infatti, può essere ben conscio della insufficiente maturità imprenditoriale dei figli, ma avere comunque la volontà di contenere nell’ambito familiare allargato la conduzione dell’azienda, attraverso una visione multigenerazionale.
In questi termini, il Trust può essere utilizzato per assegnare al trustee, che in questo caso deve essere una solida realtà societaria e non una persona fisica, il compito di nominare, con il passare delle generazioni, i vertici dell’azienda, rispettando le indicazioni del disponente.
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